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POESIA | La schiava
La mia penna
sorseggia un Martini,
senza ghiaccio,
né olive,
né toast.
Ti guardavo
estasiasta,
silente,
nello spazio,
infinito,
del Sole.
Tu sei sempre
l’Uomo di un tempo,
dolce Satiro
d’eterno calore?
Giocavamo
imperterriti
un Ruolo,
per nascondere
un vecchio
tesoro.
C’eri Tu,
come un bimbo,
pagano;
la camicia
di seta,
svolazzante
sul petto.
C’era Lei,
in attesa,
dell’Uomo
che mi baciava
con la spocchia
del sano vincitore:
Io piangevo
in silenzio,
con le labbra,
invano serrate…
Non si schiusero
allora.
Posso ancora
sospirare
il consenso?
…
Era Estate,
non c’era nessuno.
Le cicale
soltanto,
testimoni,
della sacralità
del Nostro Amore,
conoscevamo intatto,
il mio insano,
taciuto consenso.
Vorrei diventare
la tua schiava,
e, di Te, riconoscere il Vero.
Triste Assente,
governi la mente,
…e un sonetto
recitato,
nel solco più nero.
Tornavamo turbati…
dalla Voce sonora
di un treno.
Posso ancora
recitare
il mio Ruolo?
Cicatrici
latenti e sonore,
ti richiamano,
invero,
al presente.
Dove sei nascosto,
triste Assente?
Con le mani preziose
di una Gheisha,
nel mio Rogo
archivio le Carte:
la Catarsi, il Matto, le Stelle svettanti di notte!
La mia penna
sorseggia un Martini,
senza ghiaccio,
né olive,
né toast.